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martedì 7 aprile 2020
Un piano per ripartire alcune riflessioni
E’ necessario incominciare a capire come ripartire. Il governo purtroppo non si riunisce, il parlamento non è convolto, insomma tutto sembra nelle mani di poche persone e questo ci preoccupa.
I dati sembrano mostrare che siamo per lo meno arrivati ad una situazione flat della crescita del contagio, i numeri possono essere diversamente interpretati, la diminuzione dei ricoveri in terapia intensiva è il dato più incoraggiante. Nulla di realistico si può dire sulla crescita dei contagi visto che i tamponi sono riservati solo a chi ha sintomi gravi e non vengono fatti poi alle persone legate a chi risulta positivo e nemmeno ricostruita la storia del contagio.
I morti continuano ad essere troppi 600-700 al giorno, ma probabilmente sono molti di piu se si osservano le statistiche della mortalità marzo 2020 verso mortalità 2019.
Pur comprendendo ed essendo favorevoli fin dall’inizio, anche quando molti non capivano la situazione, alla necessità di bloccare tutto per evitare il collasso delle strutture sanitarie al nord ed evitare al sud un disastro, bisogna pensare ad una strategia per riaprire a tappe. Noi saremmo favorevoli a differenziale le azioni restrittive per aree geografiche, non tutte sono state colpite allo stesso modo. Bisogna trovare un modo di tracciare il contagio seguendo l’esempio di Corea del Sud e Taiwan altrimenti rischiamo un ondata di ritorno del contagio. La Corea del Sud e Taiwan hanno predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della popolazione adeguatamente informata e istruita, facendole indossare le mascherine. Nessun confinamento. Il danno economico risulta trascurabile.
Come riporta il Giornale https://www.ilgiornale.it/news/cronache/linfettivolgo-galli-morti-virus-2-settimane-ricovero-1850972.html
"Non cantiamo vittoria, soprattutto non cominciamo a parlare troppo presto di riapertura" dice Massimo Galli, l’infettivologo all'ospedale Luigi Sacco di Milano, che resta cauto, di fronte alla nuova piega presa dalla curva che descrive l'andamento dell'epidemia da nuovo coronavirus in Italia. Ma ammette: "Sembra che la decrescita dei casi stia dando qualche piccolo, ma non trascurabile segnale. Ce la giochiamo a non avere una epidemia trasferita al Sud, per il momento non è accaduto" sul ritorno alla normalità, l'infettivologo commenta: "È giusto programmare come fare a riaprire alcune attività anche con dei test, ma non bisogna farlo troppo presto, perché significherebbe vanificare tutti gli sforzi fatti".
Bisogna in ogni caso tracciare una roadmap per riaprire alcune attività economiche, dovrebbero poter riaprire ma con le debite attenzioni. Anche per i negozi si potrebbe ripensare una riapertura per i soli dipendenti e un sistema capillare di consegne a domicilio o comunque con accessi limitati.
Un’interessante analisi su Civiltà Cattolica https://www.laciviltacattolica.it/articolo/per-ripartire-dopo-lemergenza-covid-19/sottolinea che
"Il parziale isolamento dell’Europa ha ravvivato l’idea che il capitalismo è sicuramente un sistema molto fragile, e così lo Stato sociale è tornato di moda. In realtà, il difetto nel nostro sistema economico ora rivelato dalla pandemia è purtroppo semplice: se una persona infetta è in grado di infettarne molte altre in pochi giorni e se la malattia ha una mortalità significativa, come nel caso di Covid-19, nessun sistema economico può sopravvivere senza una sanità pubblica forte e adeguata. […] La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima. […] dobbiamo attendere fino a quando non saremo organizzati per lo screening e pianificare l’uscita ordinata dalla quarantena il più rapidamente possibile. Cosa succederà a quel punto? Coloro che vengono «liberati» devono essere sottoposti a screening sistematico e indossare le mascherine per diverse settimane. Altrimenti, l’uscita dal confinamento avrà un esito peggiore di quello dell’inizio della pandemia. Coloro che sono ancora positivi verranno quindi messi in quarantena, insieme al loro entourage. Altri possono andare a lavorare o riposare altrove. I test dovranno continuare per tutta l’estate per essere sicuri che il virus è stato sradicato all’arrivo dell’autunno. […] "
Sulle risposte da dare alla crisi purtroppo lo stesso articolo che fa una pregevole analisi del problema tende a dare risposte probabilmente sbagliate, se da un lato è vero quanto scrive che "La salute, ad esempio, deve essere trattata come una questione di interesse collettivo, con modalità di intervento articolate e stratificate. A livello locale, per esempio, le comunità possono organizzarsi per reagire rapidamente, circoscrivendo i cluster dei contagiati da Covid-19. A livello statale, è necessario un potente servizio ospedaliero pubblico. Per noi questo punto ovviamente deve tener conto della possibilità di avere strutture statali e private che come nell’emergenza attuale cooperino insieme allargando cosi la capacità del sistema. Ciò che è importante come sempre è mantenere il servizio pubblico non statalizzare le strutture".
Va notato che la crisi ha anche evidenziato come l’ anello debole in questa situazione sia stato il sistema sanitario italiano. Le strutture sanitarie sono diventate spesso origine di focolai del virus a causa della mancata protezione dei medici e di linee guida del ministero sbagliate anche per i pronto soccorsi. Bisogna anche prevedere insomma la riorganizzazione della struttura sanitaria di base che dovrà essere maggiormente protetta e aiutare nell’assistenza domiciliare come finalmente si è cominciato a fare riducendo il ricoveri negli ospedali e l’accesso ai pronto soccorsi che in ogni caso è crollato in questo mese mettendo in evidenza come spesso nella norma si saltasse il sistema di cura e prevenzione affidato ai medici di base ricorrendo spesso inutilmente alle strutture ospedaliere intasandole. Ovviamente servono protocolli di cura per l’assistenza domiciliare dei casi COVID-19 precise e accurate che possano aiutare le famiglie.
È assolutamente sbagliato auspicare un ritorno allo statalismo più sfrenato e anche questo ci preoccupa “A breve termine, dovremo nazionalizzare le imprese non sostenibili e, forse, alcune banche”. L’analisi anche in questo caso è corretta "Non siamo solo di fronte a una carenza keynesiana della domanda – perché chi ha i contanti non può spenderli, dal momento che deve rimanere a casa –, ma di fronte anche a una crisi dell’offerta. Questa pandemia ci introduce, dunque, in un tipo di crisi nuovo e senza precedenti, in cui si uniscono il calo della domanda e quello dell’offerta. In tale contesto, l’iniezione di liquidità è tanto necessaria quanto insufficiente". Ma la risposta affidata solo alla Stato descrivendo come prospetta l’articolo “L’idea dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza” non può essere la soluzione. Vanno forniti gli strumenti all’azione delle persone per poter rilanciare anche l’iniziativa privata e imprenditoriale. Ovviamente servirà tutelare le fasce più deboli quelle che inizialmente saranno escluse dalla ripresa e che pagheranno un costo sociale elevato. In quest’ottica è da vedere per esempio anche la decisione di un reddito di base garantito varata dall’amministrazione Trump che ha deciso di pagare a livello federale le spese sanitarie di chi non avrà più un’assicurazione medica avendo perso il lavoro e di distribuire un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense.
Un altro cambio richiesto sarà riprogrammare la catena di rifornimento oggi troppo globale e a rischio di stop in casi come quello di oggi. Si dovrà anche garantire una maggior produzione di elementi primari per il settore sanitario a livello nazionale. Sarà necessario riorganizzare la logistica abbandonando la sola logica del just in time. E’ utile anche sottolineare che la tenuta del sistema di distribuzione e trasporto merci ha evitato un collasso alimentare e medico che sarebbe stato gravissimo.
In Italia bisogna notare in generale c’è anche il tentativo di dare la colpa della gestione della crisi soprattutto alle regioni, che sicuramente non sono esenti da errori anche significativi, ma è sbagliatissimo il tentativo di togliere competenze alle regioni dopo questa crisi. Noi rimaniamo federalisti convinti.
In ogni caso per la ripresa come sottolinea l’articolo “è legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri, utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo e lo dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore. Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia”.
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