venerdì 27 marzo 2020

L’Aborto ai tempi del corona virus


L’emergenza sanitaria mondiale dovuta al diffondersi del corona virus impatta tutto quello che riguarda il sistema sanitario e quindi anche anche il tema della difesa della vita nascente. Infatti anche in questi tempi in cui l’esigenza primaria è quella di salvare più vite possibili i vari sistemi sanitari nel mondo continuano a effettuare aborti e sull’accesso alle strutture mediche per questi interventi in tempi di restrizioni di movimenti è iniziato un dibattito.



Alcune associazioni pro-choice si lamentano del fatto che la difficoltà di accesso agli ospedali e le restrizioni in opera in molti paesi potrebbero ridurre sensibilmente la possibilità di abortire e cosi raccomandano l’estensione dell’uso della pillola abortiva o la deroga alle restrizioni poste dalla rispettive leggi nazionali sull’aborto. Questo avviene per esempio in Irlanda del Nord e in Nuova Zelanda, nel paese dell'Oceania addirittura è stata anche emanata una legge che rende possibile abortire per qualsiasi ragione fino al giorno della nascita del bambino difronte alle possibili difficoltà ad accedere alle strutture sanitarie. Ma anche in un paese molto più significativo come gli USA la questione dell’aborto durante questa emergenza è aperta. I gruppi pro-life per esempio hanno promesso ulteriore impegno e sostegno a quelle mamme che non potranno accedere all’aborto in questo periodo sponsorizzando cosi la scelta per la vita e l’aiuto alle donne. Le associazioni pro choice invece sono preoccupate che i periodi di quarantena possano impedire ad alcune donne di accedere in tempo alle cliniche e denunciano in un’intervista a The Huffington Post il fatto che durante questa pandemia per via delle restrizioni degli spostamenti manchino i medici disponibili ad eseguire l’aborto, per esempio sottolineano in sei stati hanno solo una clinica rimanente a testa e in molte aree rurali, le cliniche sono gestite da medici che che volano in più località per vedere i pazienti. Anche l’accesso alle cliniche potrebbe essere limitato da restrizioni per impedire la diffusione del coranavirus-COVID-19. Il responsabile Ragsdale, president of the National Abortion Federation afferma "Temiamo che tutte le risorse sanitarie vengano convogliate verso procedure non elettive e l'aborto tende a essere classificato come procedura elettiva", "Comprendiamo che l'aborto non è un ictus o un infarto e può essere programmato. Ma non può essere programmato a tempo indeterminato. "

Per le associazioni pro choice la soluzione sarebbe quella di indicare come via alternativa le pillole abortive dimostrando ancora una volta scarsa sensibilità per la salute della donna E’ infatti noto nella letteratura scientifica che le pillole abortive hanno un rischio significativamente più alto per la salute delle donne, rispetto all’aborto chirurgico, per via dei rischi di setticemia. Inoltre le donne verrebbero spinte ad abortire in solitudine in casa. Secondo i pro-choice l'aborto farmacologico può essere somministrato in modo sicuro ed efficace con la telemedicina, ma in Texas per esempio, i pazienti che cercano un aborto farmacologico sono tenuti a fare tre viaggi di persona in una clinica. Il governatore del Texas Greg Abbott (R) ha chiesto alle agenzie statali di intraprendere qualsiasi azione necessaria per facilitare la telemedicina durante la pandemia ma ha escluso i servizi di aborto, ovviamene per assicurare assistenza adeguata alle donne ed evitare i rischi coennessi a questa procedura, ma questa decisione è stata contesta dalle associazione pro-choice.

Insomma anche difronte ad un grave rischio sanitario mondiale e ad una crisi pandemica nella visione di queste associazioni pro-choice l’unico interesse è quello di espandere le modalità per praticare l’aborto.



Che tristezza francamente.


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