Caro Avvenire, l’altro giorno ci ha colpito un articolo della “Stampa” firmato Gianluca Nicoletti. Si parlava della immagine dell’ecografia del bambino atteso da una nota “influencer” di Instagram, ecografia postata in rete che ha raccolto oltre 500mila “mi piace”. Interessante che il giornalista si ponga in questa occasione dei problemi sui diritti del feto, che pure non riesce ancora a chiamare bambino. Interessante che si ponga anche una serie di interrogativi sul diritto alla privacy del bambino non ancora nato, sulla tutela della sua immagine: lo riconosce quindi come soggetto a tutti gli effetti. Se ci si preoccupa della sua privacy bisogna riconoscere che è titolare di diritti, quindi ancora di più è titolare del diritto dal quale scaturiscono tutti gli altri : il diritto alla vita. Oggi questo non è garantito a tutti i bambini non ancora nati, perché la loro vita potrebbe essere interrotta dall’aborto. Le stupende immagini delle nuove ecografie, come già all’inizio di questa tecnologia, ma ancor più adesso con il prodigio della vista in 3D e 4D, aprono gli occhi sul fatto che la vita inizia prima della nascita.
Luca e Paolo Tanduo
Un’ecografia di un feto di poche settimane commuove il web, perché si tratta del figlio di gente famosa. «Patato», «raviolino», lo chiamano inteneriti nel video su Instagram i giovani genitori. Il web impazzisce. Il bambino non ancora nato è già guardato e chiamato a tutti gli effetti come un bambino. Il collega della “Stampa” commenta: «Occorre che si cominci a prendere atto di questo fenomeno, la nostra ombra digitale inizia ad allungarsi sulla Terra prima ancora che ci sia dato di venire alla luce». Quest’«ombra» del nascituro si è fatta, poi, sempre più netta con le ultime metodologie ecografiche, che danno immagini tridimensionali e quadrimensionali del feto. Nelle prime il corpo e il volto appaiono con la profondità di un’immagine dal vivo; delineano i lineamenti, gli occhi chiusi o aperti, le labbra, le piccole mani. Nelle immagini in 4D poi il piccolo appare in movimento, come in un film: lo si vede succhiarsi il pollice, o giocherellare con il cordone ombelicale. Immagini di una bellezza che colma di un religioso stupore. Che già molti mesi prima di nascere il nascituro sia un uomo, è un’evidenza non nascondibile nelle ecografie di ultima generazione. Li vediamo, con fattezze come le nostre, dunque “sono”. Sono persone. Il vedere testimonia qualcosa di innegabile. Viene da domandarsi, come suggeriscono i lettori, se questo non porterà ad aprire gli occhi. Se il distinguere perfino le nascenti membra di un embrione di poche settimane non costringerà chiunque guardi ad ammettere l’evidenza: questo è un uomo. Come si potrà andare avanti a conciliare il diritto all’aborto con questi fotogrammi che raccontano, rispetto al principio della vita, una documentata storia, fin nei minimi particolari? Bisognerebbe rifiutarsi di vedere, chiudere gli occhi di fronte alla meraviglia di una tecnologia che sa fotografare, dei nascituri, perfino il battito delle palpebre. E chiudere gli occhi di fronte alla realtà è il comportamento più irrazionale che si possa avere. Le prodigiose macchine che sanno esplorare nel buio del ventre materno dunque ci accompagneranno in una presa di coscienza nuova? È possibile. Lo speriamo. Benché una tecnica di indagine così precisa potrebbe prestarsi anche alla individuazione, per esempio, di quei caratteri somatici propri della sindrome di Down. E allora l’ecografia 3D potrebbe anche sancire la eliminazione del figlio “irregolare”. Le nuove ecografie sono un prodigio della capacità tecnologica, apriranno, forse, gli occhi a molti. Ma bisognerà sempre, da parte nostra, sapere guardare con occhi aperti e liberi. Per riconoscere la evidente verità: quello, è un “uno di noi”. È un uomo comunque, e per quanto piccolo sia ancora. O magari “irregolare” o “differente”. Semplicemente, è un uomo. Un dato di realtà, che solo con estrema, radicale cecità è possibile cancellare.
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