Pur sostenendo le istanze contro il razzismo sottolineano come queste non possano essere trasformate in una nuova censura e sottolineano che bisogna sostenere la libertà di parola.
Nella lettera aperta si legge che "le potenti proteste per la
giustizia sociale e razziale" non dovrebbero trasformare "la
resistenza in un brand dogmatico e coercitivo". I firmatari avvertono che
il libero scambio di informazioni e idee sta diventando sempre più limitato e
che la censura si sta diffondendo ampiamente in tutta la cultura.
I firmatari condannano la pratica del "public shaming", la "gogna pubblica", una tendenza a dissolvere questioni politiche complesse in una "accecante certezza morale" e un'intolleranza di opinioni opposte.
I 150 autori e accademici sottolineano come “I direttori vengono
licenziati per la pubblicazione di pezzi controversi; i libri vengono ritirati
per presunta inautenticità; ai giornalisti è vietato scrivere su determinati
argomenti; i professori vengono indagati per aver citato opere di letteratura
in classe”, prosegue la lettera evidenziando un fenomeno già in atto da tempo
nelle università e sui giornali e che si sta estendendo all’editoria, chi
scrive o parla in modo diverso dal politically correct viene attaccato sui
social e costretto a dimettersi o licenziato. Se pensiamo che la stampa e le
università sono il luogo del confronto e stanno invece diventando un luogo di
censura questo è molto grave.
Gli autori con questa lettera aperta e pubblica prendono così posizione
contro la nuova intolleranza del “politically correct”, che porta alla
gogna di chi esprime idee differenti nel mondo della cultura e dei media.
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