L’omicidio di
Soumayla Sacko, il migrante maliano di 29 anni ucciso da una fucilata mentre
con due connazionali tentava di portar via delle lamiere da una fabbrica
dismessa riaccende i riflettori sullo sfruttamento del lavoro della manod’opera
straniera nelle campagne del sud e nella piana di Gioia Tauro in aprticolare.
Qui, nel 2010, il ferimento di un immigrato innescò una rivolta sedata a fatica
dalle forze di polizia. Questo nuovo episodio sembra mostrare che dopo 8 anni
troppo poco è stato fatto per ripristinare una situazione di legalità
contrattuale per queste migliaia di stranieri sfruttati col caporalato: oggi
nessuno si è presentato agli svincoli dove i caporali scelgono quotidianamente
a chi regalare una giornata di lavoro e tutta l’attività di raccolta oggi è
ferma. Ma questo ci ricorda come il caporalato sia ancora la prima forma di
lavoro da queste parti per queste persone straniere. Una piaga a cui si
dovrebbe porre fine. Poco è stato fatto per migliorare la loro condizioni
abitativa visto che ancora vivono in accampamenti e baraccopoli.
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