venerdì 16 ottobre 2009

La fede dei martiri, baluardo contro l’ideologia

Nell'ambito dell'annuale Sagra di Baggio, nell'ANTICA CHIESA DI BAGGIO (Via Ceriani), il centro culturale S.Bendetto (www.cccsanbenedetto.it) in collaborazione con il Consiglio di Zona 7, ha realizzato l'interessante mostra

SIA CHE VIVIATE, SIA CHE MORIATE

La mostra vuole tenere viva la memoria della testimonianza e del sacrificio di chi ha dato la vita nel tragico Novecento per non cedere a ideologie totalitarie e disumane.. Il totalitarismo, qualsiasi esso sia, ha posto limiti alla libertà umana e si è scagliato contro il cristianesimo. Le sue radici, la legittimazione, le strategie, hanno come unico ostacolo la persona - per il fatto stesso che vive - e la sua religiosità. Non è quindi necessario essere eroi per essere martiri, basta - per esempio - essere cristiani fino in fondo. Questo ci insegnano tanti uomini la cui storia è da raccogliere e da trasmettere con la stessa semplicità di cui essi stessi sono stati espressione.

La mostra ricorda a ciascuno di noi l'importanza della libertà e l'aberrazione delle ideologie che nella storia si sono trasformate in totalitarismo. Le ideologie del XX secolo, nazismo e comunismo, hanno perseguitato la Chiesa e i cristiani mostrando a tutti, anche a chi oggi non se lo ricorda, che non hanno nulla a che fare col cristianesimo.

"Il senso più profondo della testimonianza di tutti i martiri - secondo quanto scriveva il Cardinale Ratzinger - sta nel fatto che essi attestano la capacità di verità dell'uomo quale limite di ogni potere e garanzia della sua somiglianza divina."

Giovanni Paolo II in uno dei suoi discorsi affermava: «Se si perdesse la memoria dei cristiani che hanno sacrificato la vita per affermare la loro fede, il tempo presente, con i suoi progetti ed i suoi ideali, perderebbe una componente preziosa, poiché i grandi valori umani e religiosi non sarebbero più confortati da una testimonianza concreta, inserita nella storia»

La legge è uguale per tutti non servono tutele speciali

In merito alla recente bocciatura della legge sull'omofobia non possiamo che esprimere il nostro compiacimento.
Non è in discussione infatti la tutela di ogni persona umana e la drastica condanna di ogni violenza e discriminazione verso gli omosessuali. Ma l’approvazione della legge sarebbe stata pericolosa in sé e per gli effetti che avrebbe potuto determinare. Nel nostro paese l'omosessualità non è criminalizzata e ogni discriminazione e violazione dei diritti delle persone in base alla loro scelta sessuale è già oggi condannata. Sorprendono allora alcune dichiarazioni in merito alla bocciatura della legge, incredibile l'affermazione di Navi Pillay, alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, secondo cui lo stop alla legge «è un passo indietro». Non c'è bisogno di una tutela speciale se non per fini ideologici e politici. Scrivere infatti nel codice e riconoscere gli omosessuali come categoria giuridica meritevole di speciale tutela, rappresenta il primo passo verso la parificazione delle unioni omosessuali alla famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. La legge è uguale e deve essere uguale per tutti. Questa legge avrebbe potuto dare adito a richieste di riconoscimento legale speciale in base a propri costumi o opinioni da parte di altre categorie. Non vorremmo un giorno ritrovarci ad essere penalizzati o meno tutelati solo perchè siamo eterosessuali, si rischia una discriminazione al contrario.

martedì 13 ottobre 2009

Energia NUCLEARE perchè SI

Uno dei temi che e’ riemerso nell’ultimo periodo dopo un lungo silenzio e’ quello dell’energia nucleare: era ora che in un paese come l’Italia che ha abolito il nucleare ma che compra energia nucleare dalla Francia in una linea di ipocrisia pubblica si riaprisse il dibattito.
Vorremmo precisare qual è la posizione della Chiesa su questo tema. Va innanzitutto ricordato cosa la Chiesa e la dottrina sociale insegna sulla questione nucleare: sempre e’ stato denunciato e condannato con fermezza l’uso delle armi nucleari. Ma il veto della Chiesa non si estende affatto all’uso dell’energia nucleare come strumento di promozione di un equilibrato ed equo sviluppo dei popoli. Il Papa ha anzi auspicato l’uso pacifico della tecnologia nucleare nel settore energetico, a patto che i pilastri sui quali si fonda la diffusione dell’energia nucleare a livello mondiale siano effettivamente la sicurezza e lo sviluppo.

Benedetto XVI citando il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2438), ha quindi ribadito che “alla corsa agli armamenti si deve sostituire uno sforzo comune per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed economico, ridefinendo le priorità e le scale di valori”.

Al centro del pensiero della Chiesa c’è sempre lo sviluppo dell’uomo e i materiali e le tecnologie non sono di per sé sbagliate, quello che le rende giuste è lo scopo: lo sviluppo dell’uomo e in particolare dei paesi poveri che potrebbe provenire dall’utilizzo della tecnologia nucleare è positivo.
Anzi bisogna tener conto dell’impatto che avrebbe la sospensione della produzione di energia nucleare, se fosse sostituita ricorrendo ai combustibili fossili, l’incremento del loro prezzo sui mercati internazionali sarebbe tale da renderne impossibile l’uso da parte dei paesi emergenti, e meno che mai da parte dei paesi poveri con gravissime ripercussione sulle loro reali possibilità di sviluppo. La scelta del nucleare nei paesi avanzati tecnologicamente infatti libera risorse in termini energetiche per quei paesi che non possono avere il nucleare calmierando i prezzi.

Il Cardinale Renato Raffaele Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha invitato la Comunità internazionale a sostenere la necessità di sviluppare l’energia nucleare per uso civile in occasione del 20° anniversario del disastro di Chernobyl “L'energia nucleare non va guardata con gli occhiali del pregiudizio ideologico, ma con quelli dell'intelligenza, della ragionevolezza umana e della scienza, accompagnate dall'esercizio sapiente della prudenza, nella prospettiva di realizzare uno sviluppo integrale e solidale dell'uomo e dei popoli”.

PaoloVI nella Popolorum Progressio e anche Benedetto XVI nella Caritas in Veritate sottolineano l’impotanza dello sviluppo e in particolare come elemento fondamentale per la pace, Paolo VI arriva a dire che lo sviluppo è il nome nuovo della pace.

La fonte nucleare è più vantaggiosa ed efficiente perché utilizza un combustibile, l’uranio, che a parità di massa produce 10.000 volte più energia del petrolio. A parità di energia prodotta poi le quantità di scorie generate è notevolmente inferiore a quella delle altre fonti di energia , inoltre i costi dei trasporti dei combustibili fossili sono molto maggiori di quelli del materiale per l’energia nucleare e pure dal punto di vista ambientale l’emissione di CO2 dell’energia nucleare e’ molto minore.

Nei 50 anni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica il 29/07/2007 il Papa aveva ricordato che tra gli obiettivi di questa agenzia c’è quello di “sollecitare ed accrescere il contributo dell’energia atomica alle cause della pace, della salute e della prosperità in tutto il mondo”. “La Santa Sede, approvando pienamente le finalità di tale Organismo, ne è membro fin dalla sua fondazione e continua a sostenerne l’attività”.
Quindi se al centro delle scelte ci deve essere sempre l’uomo la tecnologia nucleare puo’ essere usata per lo sviluppo e la crescita dell’uomo. Certo da sola non può risolvere il problema energetico ma dare un contributo considerevole. La soluzione sta in un portafoglio di alternative e scelte energetiche che non devono essere viste in contrapposizione.

Burqa: in Egitto no, in Italia si ???

Partimiamo da questa notizia che riportiamo integralmente:
Il niqab, il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi, non è un obbligo religioso islamico.
Parola di Mohammed Sayyed Tantawi, grande imam dell’università Al Azhar del Cairo, massima istituzione dell’islam sunnita e una delle più influenti autorità del mondo musulmano. Durante la visita a un liceo femminile, Tantawi ha duramente apostrofato una studentessa che indossava il velo integrale, dicendo che non si deve confondere un’usanza di natura tribale con un precetto coranico. E ha annunciato che presto emanerà una fatwa (responso giuridico su base religiosa) per proibire alle studentesse l’ingresso a scuola col viso coperto.

D’Altronde nei paesi islamici c’è una corrente che a differenza dei fondamentasliti, che sono ormai più un ideologia che una religione, capisce che all’interno del mondo islamico sia nei paesi arabi e islamici che in Europa si sta combattendo una battaglia con cui l’islam contemporaneo si sta misurando, e nella quale le posizioni più aperte alla modernità continuano a restare minoritarie.
Il pericolo di una vittoria della via fondamentalista è la perdita della laicità, della libertà e del ruolo della donna nella società. Mentre in Egitto le massime autorità religiose si impegnano e si esprimono pubblicamente contro certe espressioni pseudo-religiose come il niqab e il burqa che vengono strumentalizzate da chi usa la fede per farne strumento di discriminazione, e nel contempo sottrae argomenti a chi si fa impropriamente paladino di una malintesa libertà religiosa questi comportamenti trovano autorevoli giustificazioni in Europa anche da parte di esponenti politici in nome del multiculturalismo e del cosiddetto rispetto delle differenze. Ne è un esempio la polemica scoppiata in Italia sulla proposta di legge di precisare meglio una legge gia esistente in cui si toglierebbe la frase il «giustificato motivo» fonte, tra l'altro, di contenziosi tra sindaci e prefetti, e di inserire tra gli oggetti che non possono essere utilizzati, in quanto impediscono di essere riconosciuti, «gli indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa». Leggi il burqa.
Perché se qualcuno non lo sapesse in Italia è vietato non mostrare il volto sia coprendolo con caschi che con veli o altro impedendo il riconoscimento. Questo per motivi di sicurezza e appunto per il riconoscimento da parte delle forze pubbliche, si pensi che su tutti i nostri documenti , la carta d’Identità il passaporto è obbligatorio mettere una foto del proprio volto proprio per favorire il riconoscimento. Perché si vuole ideologicamente difendere dei costumi che non sono religiosi come ha detto l’iman del Cairo ma solo simbolo di sottomissione delle donne? Dove sono le femministe?
Perché non dare alle donne islamiche un appiglio, la legge, per avere la forza di ribellarsi alla sottomissione che questi indumenti esprimono? E attenzione non si parla di eliminare il velo che invece è legittimo ma il Niqab che copre il viso facendo vedere solo gli occhi e il burqa che copre addirittura anche gli occhi.
E poi diciamo la verità il viso è l’elemento del corpo che esprime la persona, pensiamo a una persona ci verrà in mente il suo viso, pensiamo agli innamorati si guarderanno in viso, allora impedire alle ragazze e alle donne di far vedere il proprio viso è un pò come eliminarle, nasconderle e renderle meno libere.

domenica 4 ottobre 2009

Le minorenni di fronte alla scelta tra vita e aborto

Nei giorni scorsi sul Il Giornale è comparsa la notizia che lo scorso anno le minorenni che si sono rivolte al giudice tutelare di Milano per ottenere il permesso di abortire, secondo quanto stabilito dalla legge 194 sull’interruzione di gravidanza sono state 186, quindici al mese o se si vuole, una ogni due giorni. L’articolo inizia con la storia di una ragazza di sedici anni che si è presentata dal giudice tutelare scortata da una compagna di classe. Era incinta. Ed era la terza volta che capitava. Per la terza volta ha praticato l’aborto.
Questi dati sono scarsamente noti e sembra che finché non toccano la vita personale delle famiglie non siano dati che interessano, tanto che anche l’informazione se ne occupa raramente, ma devono farci riflettere su come educhiamo le nuove generazioni, esiste oggi una sfida educativa . Per educare bisogna sapere chi è la persona umana. Ricordiamo le parole del cardinale Bagnasco “L’affermarsi di una visione relativistica della natura della persona umana pone seri problemi all’educazione, soprattutto all’educazione morale. Tra le povertà del nostro tempo, va annoverata anche la dimenticanza dell’irriducibilità della persona umana”. Centrale diventa allora tornare al senso del vivere e del morire e sul modo di relazionarsi con gli altri.
Negli ultimi anni in merito ai dati relativi alle minorenni che sono ricorse all’aborto si può osservare una stabilità nel numero per le italiane e un aumento delle straniere dovuto principalmente al crescere del fenomeno migratorio nel nostro Paese; nel 2007 gli aborti effettuati da minorenni restano comunque 3463 da ragazze italiane e 637 da ragazze straniere. Un numero che non diminuisce e per ridurre il quale si fa troppo poco come in genere per prevenire le cause che portano alla dolorosa scelta dell’aborto. Confrontato con i dati disponibili a livello internazionale. si conferma il minore ricorso all’aborto tra le giovani italiane rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale. L'assenso per l'intervento è stato rilasciato nel 69.6% dei casi dai genitori e nel 29.5% dei casi vi è stato il ricorso al giudice tutelare. Per quanto riguarda le minorenni. il tasso di abortività per il 2007 è risultato essere pari a 4.8 per 1000 (Tab. 5). valore simile a quello degli anni precedenti. (Relazione Ministero della salute 2009 http://www.mpv.org/mpv/allegati/2931/Relazione%202009.pdf)
Il fatto che questi dati siano stabili non deve rincuorarci anzi ci deve interrogare, come mai non si riesce a cambiare la situazione? Serve una più efficace e convinta politica a tutela della maternità, in questo per esempio la Regione Lombardia rappresenta un eccezione con i finanziamenti elargiti e con norme di attuazione della legge 194 più stringenti. La politica deve agire per aiutare a rimuovere le cause che portano alla dolorosa scelta dell’aborto. Una drastica riforma dei consultori sul modello dei CAV permetterebbe di attuare una seria prevenzione. Questo è tanto più urgente se si considera il 26,9% degli aborti sono fatti da donne che hanno già abortito.
Giuliano Ferrara quando aveva lanciato la moratoria dell’aborto, a favore della vita aveva ricordato come oggi nella nostra società l’aborto è diventato socialmente e moralmente indifferente. Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium Vitae sosteneva come le scelte contro la vita scelte un tempo unanimemente considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, sono diventate a poco a poco socialmente rispettabili. Questo è il vero dramma. Oggi ci sono poi ad aggravare la situazione rispetto alle fasce più giovani le pillole che tendono addirittura a banalizzarlo, vedi la pillola del giorno dopo e ancora peggio la RU486. Ricordiamo che in Italia si vendono ogni anno dalle 300.000 alle 500.00 confezioni di pillole Norlevo e in alcuni pronti soccorsi la domenica notte e mattina c’è la fila di giovanissime che vi si reca per chiederne la ricetta medica o preoccupati dopo averle assunte. In merito alla cosiddetta pillola del giorno dopo è utile ricordare che nel caso di fecondazione avvenuta si tratta di un abortivo e che nel computo del ministero della salute questi aborti non sono inclusi nei dati ufficiali. Che dire poi della recente approvazione della commercializzazione della RU486 in cui significativo è anche l'aspetto economico, infatti il farmaco con un prezzo esiguo sarà accessibile a tutti soprattutto alle giovanissime.
Bisogna insegnare il valore della sessualità e la responsabilità dell’atto sessuale che non va banalizzata, anche su questo tema dobbiamo tornare a parlarne con coraggio educando l’intelligenza e il desiderio verso il bene, il vero, il bello. Perché la sessualità è un grande dono che l’uomo ha ricevuto. Dovrebbero fare riflettere i dati che provengono dal Regno Unito, dove la politica di educazione sessuale ha puntato tutto sugli anticoncezionali: su 1000 donne in attesa di un figli, 42 non hanno compiuto 18 anni e le statistiche ufficiali del 2007 aggiungono che ogni settimana 84 adolescenti abortiscono. Al posto di guardare c on preoccupazione a questo fenomeno che sembra indicare un utilizzo dell’aborto come anticoncezionale la Gran Bretagna sembra sostenere la filosofia: liberalizziamo l’aborto, rendiamolo più facilmente accessibile, escludiamo i genitori da ogni competenza. Nella stessa ottica il governo Zapatero in Spagna ha addirittura approvato una nuova legge sull’aborto che consentirà la legalizzazione dell'aborto nelle 14 settimane di gestazione praticamente senza nessun limite e ampliabili a 22 nei casi di grave malformazione del feto o di pericolo per la salute psico-fisica della gestante. Cosa ancora più grave e che sta suscitando molte polemiche in Spagna la nuova legge consentirà alle minori fra i 16 e i 18 anni di abortire senza il consenso dei genitori, i minorenni non possono guidare o votare ma possono prendere da soli la decisione in merito alla vita. Recentemente poi ha anche liberalizzato l’uso della pillola del giorno dopo che potrà essere distribuita senza alcuna ricetta medica e senza alcun limite di età. Questo senza tener conto che i dati spagnoli parlano già di una emergenza per le giovanissime sul tema dell’aborto infatti la Spagna è in cima alla classifica europea per tasso di aborti fra minori di 20 anni. Ogni diciotto minuti una teen-ager resta incinta, per un totale di oltre 29.000 gravidanze l'anno, la metà delle quali, il 53%, finisce in aborto."Questo significa che una gestante adolescente abortisce ogni mezz'ora” (ANSAmed fonti dell'Ipf). Nel decennio fra il 1996 e il 2007, i casi di adolescenti incinte in Spagna sono aumentati di 10.000 unità, mentre l'Unione Europea nel suo complesso ha registrato, nello stesso periodo, periodo una diminuzione di 50.000 casi. In Spagna, nel 1996, il tasso di aborti per ragazze minori di 20 anni era del 4%, aumentato al 7,2% nel 2007. Tutti questi dati devono far riflettere anche il nostro paese, siamo chiamati ad evitare gli errori che hanno portato a queste situazioni drammatiche. In quest’ottica ci auguriamo che in Italia la recente scelta in merito alla RU486 venga rivista e le nuove generazioni non debbano subire questa nuova “opportunità” che al posto di educarle le rigetta nella solitudine delle scelte senza nemmeno preoccuparsi delle gravi conseguenza psicologiche che ne derivano.

giovedì 1 ottobre 2009

Quale libertà di religione?

Oggi uno dei temi che più sono attuali e a seconda di come verrà affrontato segnerà la nostra società è la libertà di religione, il rapporto tra religione e stato e tra le varie religioni. Un presupposto è necessario, garantire la libertà di religione a tutti. E’ utile ricordare quanto diceva in merito la Dignitatis Humanae (Concilio Vaticano II) “l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti (4). Si fa quindi ingiuria alla persona umana quando si nega il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia. La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto”. Anche Benedetto XVI più volte si è espresso sulla libertà di religione e il ruolo pubblico che essa ha diritto e dovere di avere, esprimendo le sue preoccupazioni “non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un’espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è”, questa visione va respinta.Benedetto XVI ricorda anche che nell’incontro tra le religioni bisogna partire da un dialogo interculturale piuttosto che interreligioso: “un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile, mentre urge tanto più il dialogo interculturale che approfondisce le conseguenze culturali della decisione religiosa di fondo.” Nel documento Dignitatis Humanae si affrontavano due aspetti della libertà di religione che riletti oggi possono apparire profetici: cura e limiti della libertà di religione. Infatti si dice che “Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile (6). Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa”, il ruolo delle istituzioni “deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini per motivi religiosi non sia mai lesa e che non si facciano fra essi discriminazioni”. Lo stato non puo’ imporre la professione di una religione oppure la sua negazione e deve garantire la possibilità per chiunque di poter cambiare liberamente religione. Questo richiamo appare sensibilmente attuale nel rapporto con la fede islamica, si deve tener conto come ha ricordato Benedetto XVI nel suo viaggio in Giordania che i “talenti critici” sono importanti nel mondo arabo: senza critica la fede può diventare fanatismo, superstizione, o addirittura manipolazione. Il Papa ha toccato un punto che è fondamentale per la crescita di questa regione: “l’assenza di sguardo critico, porta la gente a seguire in modo politico l’uno o l’altro leader, senza domandarsi sulle esigenze di democrazia, libertà, diritti umani, convivenza. La religione viene sfigurata quando viene costretta a servire l’ignoranza e il pregiudizio, il disprezzo, la violenza e l’abuso”. E’ ammesso invece parlare di limiti della libertà religiosa che vanno ancorati all’ordine pubblico e alla responsabilità personale e sociale. Gli stati sono quindi chiamati a dotarsi di norme giuridiche a difesa dei diritti e della loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini. Va quindi in ogni caso applicata per esempio la norma che vieta l’istigazione alla violenza che alcuni psudo-predicatori religiosi fanno manipolando ideologicamente la religione, talvolta a scopi politici, trasformandola in catalizzatore delle tensioni e delle divisioni e non di rado anche delle violenze nella società. In un cammino di integrazione vero bisogna allora parlare di quale cittadinanza vogliamo costruire. Per essere cittadini non basta nascere in uno stato o esserci serve una vera conoscenza e condivisioni dei principi alla base della nostra società serve un processo culturale che deve essere richiesto solo allora si potrà essere cittadini. Urge un’azione educativa e questo diventa urgente specialmente nei confronti di chi proviene da paesi stranieri dove l’humus culturale sui diritti umani è differente, non ha accora affrontato la dignità della donna e la famiglia fondata sul matrimonio e non sulla poligamia, la libertà di religione. Oggi nei loro confronti abbiamo una responsabilità che non può essere rinviata, oggi loro vengono da noi e noi siamo chiamati a rispondere sia ai loro bisogni materiali ma anche ad offrire una crescita culturale. L'educazione è quella forza debole che può e deve essere usata per incidere sulla mentalità della gente. Ma di fronte alla presenza di religioni diverse in tutto il mondo e in un mondo globalizzato come il nostro bisogna tutelare la libertà religiosa in tutti i luoghi con leggi e protezioni per tutte le comunità religiose e in particolare dove sono minoranze. Inoltre bisogna ricordare che per i cristiani compito primario è l’annuncioe quindi sono tenuti ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1). Nel rapporto tra le diverse fedi un principio fondamentale è quello della reciprocità, che va pretesa e garantita. Ma in questo non possiamo dimenticarci che mentre noi abbiamo il problema dell’arrivo di molti stranieri di religione islamica, nei paesi islamici in particolare quelli ricchi della penisola arabica c’è un fenomeno simile ma a ruoli invertiti, migliaia e migliaia di cattolici (filippini, indiani e altri ancora) si recano li per cercare lavoro e hanno il problema di poter esprimere la propria religione, questa è una questione che interroga la nostra società ma anche la loro,anche con qualche segno di speranza come l’incontro tra il principe saudita e Benedetto XVI evento storico o l’apertura delle prime chiese nella stessa penisola arabica, ma anche con un urgente problema di riconoscimento delle libertà di culto e di religione. Riguardo alla nostra città di Milano Non è più dilazionabile l’urgenza di trovare anche per la comunità islamica di Milano luoghi di preghiera. Esiste anche una carenza di luoghi di culto e di aggregazione cattolici in alcuni quartieri della periferia milanese. Ne parla mons. Erminio De Scalzi, vicario episcopale per la città di Milano che dice “Anche gli islamici, a Milano, hanno diritto ad avere un luogo di culto. Questo creerebbe una possibilità di dialogo più disteso tra le religioni, eviterebbe l’illegittima e fastidiosa occupazione di suolo . Purchè sia “un vero luogo di culto” e non altro. All’autorità civile spetterà il compito di vigilare e ottenere garanzie in tale senso. Agli islamici l’onere di assumersi i costi – come fa ogni nostra parrocchia – di tale costruzione.”