lunedì 4 febbraio 2019

Storica visita di Papa Francesco nella penisola arabica

Papa Francesco primo Papa nella penisola arabica, è giunto negli Emirati Arabi Uniti esprimendo "apprezzamento per l’impegno di questo Paese nel tollerare e garantire la libertà di culto, fronteggiando l’estremismo e l’odio. Così facendo, mentre si promuove la libertà fondamentale di professare il proprio credo, esigenza intrinseca alla realizzazione stessa dell’uomo, si vigila anche perché la religione non venga strumentalizzata e rischi, ammettendo violenza e terrorismo, di negare sé stessa".
Il discorso del Papa condanna la violenza nel nome di Dio, richiama a riconoscerci tutti fratelli, a garantire la libertà religiosa e la stessa dignità ad ogni uomo.
Il Pontefice chiarisce che «non si può onorare il Creatore senza custodire la sacralità di ogni persona e di ogni vita umana: ciascuno è ugualmente prezioso agli occhi di Dio. Perché Egli non guarda alla famiglia umana con uno sguardo di preferenza che esclude, ma con uno sguardo di benevolenza che include». Ha continuato affermando che "il giusto atteggiamento non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti, in nome del Misericordioso che ci ha creati e nel cui nome va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità nella diversità". E ricordando l'episodio di Noè ha aggiunto che anche «noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo : l’arca della fratellanza».

Il punto di partenza è uno solo: «Riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato». Ecco, si fonda «qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza. Essa ci dice che tutti abbiamo uguale dignità e che nessuno può essere padrone o schiavo degli altri».

Il dialogo «domanda il coraggio dell’alterità, che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà, e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque». Perché senza libertà non si è più «figli della famiglia umana, ma schiavi». E tra le libertà «vorrei sottolineare quella religiosa. Essa non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo».

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