venerdì 13 luglio 2018

Riflessioni sulla importante e spinosa questione dei migranti

Vorremmo condividere alcune riflessioni sulla importante e spinosa questione dei migranti. La prima parte da una famose frase del Vescovo Scalabrini “ Emigrano i semi sulle ali dei venti, emigrano le piante da continente a continente, portate dalle correnti delle acque, emigrano gli uccelli e gli animali, e, più di tutti, emigra l’uomo, ora in forma collettiva, ora in forma isolata, ma sempre strumento di quella Provvidenza che presiede agli umani destini e li guida, verso la meta ultima, che è il perfezionamento dell’uomo sulla terra e la gloria di Dio ne’ cieli”, il fenomeno migratorio come ben sappiamo, è inevitabile soprattutto verso luoghi dove c’è 'spazio'. Lo spazio fisico, ma anche lo spazio economico o lo spazio di libertà per realizzare un futuro migliore.
E’ giusto allora dire che questi flussi, impossibili da fermare, vanno però gestiti e regolamentati proprio per difendere innanzitutto i più deboli tra i migranti, che come anche le cronache ci raccontano, vengono vessati e sfruttati, per impedire che tra queste persone che migrano prevalgano i più disonesti e gli interessi del malaffare. Se come giustamente si dice, finora l’accoglienza è stata spesso mal gestista e si sono delegati a caro prezzo la gestione dei migranti sia in termini di denaro che in termini di mancata integrazione e sfruttamento, bisognerà dire che cambiare implicherà dei costi, e destinare case e strutture adeguate ad una vita dignitosa, anche per esempio per i lavoratori stagionali.  
Inoltre occorre ricordare che
per favorire un’immigrazione regolare è necessario pianificare e gestire più visti lavorativi regolari.

 

La risposta in ogni caso non può essere solo quella di uno stato, se ragioniamo come Europa dovrà esserci la condivisione delle regole e delle politiche di accoglienza e questo contrasta con chi fa propaganda solo per il suo paese, vale per la Francia come per l’Italia, e per questo alcune scelte come quella di non cambiare il trattato di Dublino sono ormai antistoriche. L’Europa mostra tutta la sua debolezza quando non riesce a darsi una linea comune come successo nell’ultimo summit del 28 giugno. Bisognerà intervenire anche per riequilibrare differenze enormi tra i paesi di origine e i paesi di destinazioni di queste migrazioni, per sanare ingiustizie e per cercare di creare quegli spazi di cui sopra anche nei paesi di origine per garantire a queste persone anche il diritto di non essere obbligati ad emigrare.

L’unica via percorribile ci sembra quella che ha messo in evidenza in un suo editoriale il giornalista Mieli lo scorso 18 giugno proponendo la prosecuzione delle politiche già sperimentate dal predecessore di Matteo Salvini (l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti) che negli ultimi dieci mesi avevano dato importanti risultati. “E non stiamo parlando adesso della pur clamorosa riduzione degli sbarchi su suolo italiano che comunque dopo un’estate da record, anche tra gennaio e aprile scorsi sono scesi del 75% rispetto a quelli del primo quadrimestre del 2017. Qui ci interessa di più far rilevare come nei campi di accoglienza già esistenti in Libia — alcuni dei quali erano stati fino a poco tempo fa veri e propri lager — proprio in questi mesi il clima è cambiato in virtù dell’intervento di personale delle Nazioni Unite e di alcune Organizzazioni non governative. Da quei campi si è cominciato (attenzione: cominciato) a sperimentare un «corridoio umanitario» attraverso il quale, a fine dicembre scorso, è stato possibile portare in Italia — con l’aiuto della Conferenza episcopale italiana — qualche centinaio di migranti. E si è iniziato a ritrasferire nei Paesi d’origine, tramite «rimpatri volontari assistiti», venticinquemila migranti i quali hanno accettato di «tornare a casa» muniti di una «dote» con cui rifarsi una vita in Gambia, Guinea, Nigeria. Senza contare i centri accoglienza in Niger o sulla frontiera meridionale della Libia che hanno consentito di interrompere questi viaggi della speranza già a metà tragitto. E di conferire a Paesi africani e nordafricani la forza per combattere la vera guerra di cui nessuno si occupa: quella contro i trafficanti. Il tutto, ripetiamo, sotto le bandiere delle Nazioni Unite e con il concorso di Ong”.

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