E’ giusto allora dire che questi flussi, impossibili da fermare, vanno però gestiti e regolamentati proprio per difendere innanzitutto i più deboli tra i migranti, che come anche le cronache ci raccontano, vengono vessati e sfruttati, per impedire che tra queste persone che migrano prevalgano i più disonesti e gli interessi del malaffare. Se come giustamente si dice, finora l’accoglienza è stata spesso mal gestista e si sono delegati a caro prezzo la gestione dei migranti sia in termini di denaro che in termini di mancata integrazione e sfruttamento, bisognerà dire che cambiare implicherà dei costi, e destinare case e strutture adeguate ad una vita dignitosa, anche per esempio per i lavoratori stagionali. Inoltre occorre ricordare che per favorire un’immigrazione regolare è necessario pianificare e gestire più visti lavorativi regolari.
La risposta in
ogni caso non può essere solo quella di uno stato, se ragioniamo come Europa
dovrà esserci la condivisione delle regole e delle politiche di accoglienza e
questo contrasta con chi fa propaganda solo per il suo paese, vale per la
Francia come per l’Italia, e per questo alcune scelte come quella di non
cambiare il trattato di Dublino sono ormai antistoriche. L’Europa mostra tutta
la sua debolezza quando non riesce a darsi una linea comune come successo
nell’ultimo summit del 28 giugno. Bisognerà intervenire anche per riequilibrare
differenze enormi tra i paesi di origine e i paesi di destinazioni di queste
migrazioni, per sanare ingiustizie e per cercare di creare quegli spazi di cui
sopra anche nei paesi di origine per garantire a queste persone anche il
diritto di non essere obbligati ad emigrare.
L’unica via
percorribile ci sembra quella che ha messo in evidenza in un suo editoriale il
giornalista Mieli lo scorso 18 giugno proponendo la prosecuzione delle
politiche già sperimentate dal predecessore di Matteo Salvini (l’ex ministro
dell’Interno Marco Minniti) che negli ultimi dieci mesi avevano dato importanti
risultati. “E non stiamo parlando adesso della pur clamorosa riduzione degli
sbarchi su suolo italiano che comunque dopo un’estate da record, anche tra
gennaio e aprile scorsi sono scesi del 75% rispetto a quelli del primo
quadrimestre del 2017. Qui ci interessa di più far rilevare come nei campi di
accoglienza già esistenti in Libia — alcuni dei quali erano stati fino a poco
tempo fa veri e propri lager — proprio in questi mesi il clima è cambiato in
virtù dell’intervento di personale delle Nazioni Unite e di alcune
Organizzazioni non governative. Da quei campi si è cominciato (attenzione:
cominciato) a sperimentare un «corridoio umanitario» attraverso il quale, a
fine dicembre scorso, è stato possibile portare in Italia — con l’aiuto della
Conferenza episcopale italiana — qualche centinaio di migranti. E si è iniziato
a ritrasferire nei Paesi d’origine, tramite «rimpatri volontari assistiti»,
venticinquemila migranti i quali hanno accettato di «tornare a casa» muniti di
una «dote» con cui rifarsi una vita in Gambia, Guinea, Nigeria. Senza contare i
centri accoglienza in Niger o sulla frontiera meridionale della Libia che hanno
consentito di interrompere questi viaggi della speranza già a metà tragitto. E
di conferire a Paesi africani e nordafricani la forza per combattere la vera
guerra di cui nessuno si occupa: quella contro i trafficanti. Il tutto,
ripetiamo, sotto le bandiere delle Nazioni Unite e con il concorso di Ong”.
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