lunedì 31 ottobre 2011

Potere politico e giudizario devono rimanere distinti lo dice la Costituzione

Se due indizi fanno una prova allora eccoli: il 13 marzo 2011 durante la partecipazione del procuratore Antonio Ingroia alla manifestazione di Roma a favore della Costituzione, il pm Ingroia aveva definito “controriforma" quella della giustizia, ieri il procuratore ha partecipato al congresso di un partito, quello del PdCI, sotto lo slogan «La rivoluzione da ottobre»; testualmente ha detto “Un magistrato deve essere imparziale quando esercita le sue funzioni ma io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione ”.
Due interventi chiaramente politici e in contesti fortemente caratterizzati da una chiara connotazione partitica, decisamente inopportuni. Possiamo davvero fidarci di un magistrato così? Sarà possibile pensare che le sue inchieste non siano influenzate dalla sua dichiarata militanza politica? dov'è finito l'ideale di separazione tra potere legislativo e giudiziario quando un giudice pubblicamente ostenta la sua avversione ad alcune leggi? Quanto ci mancano magistrati come il giovane Rosario Livatino, assassinato dalla mafia il 21 settembre del 1990 quando aveva 38 anni, che il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì ricordò come un giudice deve astenersi dal "tenere pubblicamente discorsi per un'organizzazione politica o per un suo esponente o dall'appoggiare un candidato ad una carica pubblica", in merito alla credibilità del magistrato disse: “La credibilità esterna della magistratura nel suo insieme ed in ciascuno dei suoi componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri. "Un giudice", dice il canone II del già richiamato codice professionale degli U.S.A. "deve in ogni circostanza comportarsi in modo tale da promuovere la fiducia del pubblico nell'integrità e nell'imparzialità dell'ordine giudiziario" [..] è importante che egli offra di se stesso l'immagine equilibrata, sì, di persona responsabile pure". Qualche dubbio sorge nel caso del pm Ingroia.
Sempre Livatino ricorda “Il magistrato altro non è che un dipendente dello Stato, al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi... Egli è un semplice riflesso della legge che è chiamato ad applicare”.

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