giovedì 25 giugno 2009

RU486: Perché commercializzare un farmaco cosi pericoloso?

In questi giorni è stato comunicato che entro l’estate l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) potrebbe autorizzare la commercializzazione in Italia della Ru486, la pillola abortiva.
Il cosiddetto aborto chimico consiste nell’assunzione della RU486 per impedire l’annidamento o provocare il distacco dell’embrione dalla parete uterina agendo sugli ormoni femminili, e di una seconda pillola, quella del misoprostol, nome commerciale Cytotec, che stimola le contrazioni uterine per l’espulsione del feto. L’AIFA non ha mai registrato il Cytotec come stimolatore dell’utero, ma solo come farmaco antiulcera, verrebbe proposto come abortivo, contro le indicazioni della stessa casa farmaceutica che ha anche ufficialmente messo in guardia dal farlo. Nel sito della Food and Drug Administration (FDA, ente statunitense di vigilanza farmacologia) si legge che fra gli effetti da Cytotec, oltre che emorragie e stati di shock, c’è anche la morte della madre.

La verità sulla RU486 e l’aborto chimico, è la sua pericolosità per la salute della donna: sono più probabili infezioni batteriche, emorragie e shock settici, in relazione all’infezione dovuta al mancato raschiamento dell’utero dopo l’aborto che quindi rimane ricettivo nei confronti dei batteri. La RU486 danneggia il sistema immunitario della donna. Il tasso di mortalità nelle donne è dieci volte maggiore nell’aborto con l’uso della RU486, infatti il tasso di mortalità è di 1/100.000 contro 1/1.000.000 dell’aborto chirurgico (fonte New England Medical Journal 2005). Dolori e crampi, nausea, debolezza, cefalea, vertigini sono gli effetti collaterali più comuni riportati. La durata media del sanguinamento dopo l’utilizzo della RU486 è di 14-17 giorni. Proviamo a metterci nei panni di una donna, vi sembrano proprio effetti collaterali trascurabili?

La FDA dichiara i seguenti dati (2006): 950 effetti avversi, 9 casi di pericolo di vita, 116 trasfusioni di sangue, 88 infezioni, 6 eventi trombotici, 232 casi di ospedalizzazione. Nel 2006 sono stati effettuati in Toscana 394 aborti farmacologici che hanno richiesto 65 interventi chirurgici (16,5%). Pensate al dramma di queste donne che comunque alla fine hanno dovuto ricorrere d’urgenza ad un intervento chirurgico.
Per qualsiasi farmaco che nel foglietto illustrativo riportasse tali controindicazioni l’opinione pubblica dovrebbe essere allertata e probabilmente la vicenda susciterebbe molto clamore, invece tutto procede nel quasi generale silenzio della stampa. Si dirà che ne è già consentito l’uso in altre nazioni europee, ma non in tutte, inoltre le due condizioni per il mutuo riconoscimento del farmaco non sono verificate vista la mancanza di urgenza di cura e che non mancano alternative infatti l’aborto è già praticato in Italia, allora non si comprende perché questo dovrebbe spingerci ad adottare un farmaco con tale pericolosità. Perché tutte queste pressioni? Le motivazioni sono a nostro avviso di diverso tipo, c’è sicuramente una componente ideologica e politica di chi continua a voler estendere la pratica dell’aborto e questo strumento presentato come “facile ed indolore” tende certamente a banalizzare l’aborto, renderlo un fatto privato, non considerarlo come un problema sociale, risulterebbe difficile anche quantificare il numero di aborti. C’è poi da considerare il continuo aumento dei medici che si dichiarano obiettori di coscienza e questo sarebbe un modo per aggirare il problema ma soprattutto andrebbe nella direzione di una deresponsabilizzazione dei medici e delle strutture sanitarie, l’aborto tornerebbe ad avvenire col passare del tempo al di fuori degli ospedali, con tutti i rischi anche medici sulla salute delle donne.
Certamente significativo è poi l’aspetto economico che non è certo l’ultimo degli elementi che spingono al riconoscimento di questo farmaco. Ogni tentativo di prevenire l’aborto sarebbe poi impedito dalla mancanza del colloquio preventivo. La donna sarebbe lasciata sola nella decisione di assumere le pillole abortive e si caricherebbe su di essa tutta la responsabilità dell’aborto gravando psicologicamente sulla donna che ingerita la seconda pillola attenderebbe a casa il drammatico evento dell’espulsione del feto/bambino: nel 56% delle donne si associa ad una maggiore frequenza di effetti psicologici negativi (incubi, flashbacks, pensieri intrusivi relativi all’esperienza).

È necessario rimettere al centro la verità, è necessario un intervento che ne impedisca la commercializzazione in Italia. Dobbiamo rimettere al centro anche la salute della donna che non viene per nulla tutelata e la difesa della vita fin dal concepimento.

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